Domenica 01 aprile 2012, di nuovo a El Medano.

 

 

Se ne scende anche oggi il sole, come se fosse l'eterna novità mi ritrovo a guardarlo di sbieco mentre provo a far mente locale su quello che mi è successo in modo da farlo diventare parola scritta e spero durevole nel tempo. Poter assaporare la rilettura di questo mio improvvisatissimo diario mi conforta, il rischio di dimenticare certe cose è sempre dietro l'angolo. E così mi autodescrivo il sole di oggi, nuovamente a El Medano per quella che è ormai una minitradizione di w.e. da queste parti. Me ne sto in tenda a guardare quella palla infuocata che se ne sta andando or ora che sono le 20.48, dopo aver passato una giornata a sfottermi da dietro nuvole di passaggio... intervenendo a bruciarmi ogni volta che uscivo allo scoperto e ritirandosi per dare il posto al vento quando rientravo in cerca di ombra. Playa La Tejita è sempre una garanzia, silenzio e vento, sole e sabbia che ti copre per staccarsi poi senza insistenza al primo sgrullo di ossa.

Ora è sceso del tutto dietro al profilo del panorama lasciando il codazzo arancione. E io sto per chiudere un'altra domenica passata a far nulla col corpo e moltissimo con la cabeza. Facile fare progetti qui, basta sdraiarsi sulla roccia per un po' e si ricaricano le batterie interne, quelle delegate al funzionamento dell'istinto di sopravvivenza. Pare retorico ma la terra qui trasmette energia e non solo calore. Forse è la lava, magari è solo una impressione data da tutto quel che mi circonda. Ma viene voglia di fare cose, indefinite e chiarissime al tempo stesso.

Il programma per la prossima settimana prevede l'inizio dell'agognato corso ispanico e una forte dose improvvisata ed improvvida di fantasia per il resto. Farò sicuramente ciò che mi va, senza vincoli. Ma per ora ripenso a questi ultimi giorni, alla gente conosciuta e a quella schivata per chissà quale motivo. Si va ad intuito e ci si riconosce tra simili, pescando nella massa dei turisti. Si attacca a parlare in una lingua, poi in un'altra per poi scoprire che ci si capisce anche solo a gesti.

E poi tanti italiani, gente che è fuggita anni fa e che s'è già sistemata per tirare avanti con tranquillità. E racconti ancora. Questa è una terra strana, spinge la gente a parlare. A narrarsi. E ad ascoltare pure. Si fa con piacere perchè manca molto di quel condizionamento mentale a forma di schermo televisivo, e non ci sono molte sale cinematografiche. Quindi le serate si passano così e ci si abitua presto a fare di necessità virtù.

E si vive anche di silenzi, dello sciabordio dell'acqua, del canto di uccelli di passaggio e di sirene di barche al largo, di musiche suonate da altoparlanti gracidanti che se ne escono da finestre aperte al piano terra. C'è tempo anche per se stessi qui. Quel che mi occorreva per capire di più di me, delle mie tentazioni, di quel che serve a vivere, di quel che va scansato. Sicuramente la sensazione di sofferenza maggiore mi proviene dalle pagine in rete dei giornali italici, notizie di degrado mentale e politico e sociale e privato. Storie di suicidi, di incidenti sul lavoro, di politici sguazzanti nella merda da loro stessi prodotta e che sarà l'eredità per chi tutto ciò non lo aveva neanche chiesto. Devo scansarle queste cose che mi fanno male, eppure non riesco bene. Le radici si sentono, la rabbia che mi portavo dentro quando ero lì ancora esiste, solo sepolta dalle novità. Tornerei subito per godermi lo spettacolo di una rivolta qualunque, anche transitoria. Sarei sazio nel seguire le gesta di gente finalmente incazzata e senza remore, pronta a tutto pur di cacciare quella banda di infami che sta spogliando uno dei paesi più belli del mondo. Ma so anche che non accadrà.

Intanto qui piove e si va tutti fuori di tenda a prendere acqua dall'alto per una volta. Come i cactus si stendono gli arti. E ci si lava, si rinfresca la pelle arsa dal calore, si mette fuori la lingua per assaporare con tutti i sensi la vera manna.

Tra poco si fa nanna, ma prima un ultimo sguardo alle stelle. E poi via, a sognarne di più ancora.