Compilescion. Cap. 18 - Il quarto cane sono io.

 

www.youtube.com/watch?v=inKfTxjTlA8

 

Chissà perchè quella mattina m'ero svegliato presto da solo. Senza sveglia, senza neanche la voce di Lucio che chiamava i cani per la colazione. Tendevo ad abituarmi spesso alle novità, una scena ripetuta per due o tre volte mi diventava subito familiare: forse era il remoto bisogno di avere una casa. Speravo non fosse così.

Già, i cani. Erano i cani il motivo, ma non quelli di Lucio. Me ne ero completamente dimenticato ma mi ero ripromesso di fare un giretto dalle parti dei gabbioni dov'erano chiusi quei tre bastardoni! Ogni volta che passavo di li era una festa. Ci amavamo dalla prima volta che ci siamo visti. Tutti. Avrei voluto far parte di quel piccolo branco. E di nuovo l'idea di famiglia (o branco che sia) che si insinuava...iniziai a preoccuparmi assumendo un'espressione molto simile a Popeye pensoso con pipa in bocca (ma senza pipa).

Iniziai a pensare al momento migliore ed al modo più silenzioso per mettere in opera il piano di salvataggio (mi piaceva chiamarlo così, sembrava un'operazione militare ma una volta tanto a fin di bene). Per portarli dove poi? Non lo sapevo assolutamente....era una cosa non trascurabile da risolvere anche quella.

 

Mi diede una mano Lucio stesso a verificare da vicino le possibilità:

"Hai visto Valeria?" "Valeria, la gatta quella tigrata" "Eh, prova a vedere se è lì, lo chiamo e gli dico che vai, chè quello è esaurito".

L'ultima affermazione mi lasciò perplesso...ma robe facili io mai eh? Anche col cavallo sembrava una ragazzata si. Sfiga, sfortuna, sculo, mille nomi per un'unica cosa. Che nel caso del cavallo si chiamava Metronotte ed uno meno stupido di me l'avrebbe anche pensato che gli allevatori pagano qualcuno per controllare ogni tanto. Ma vabbè, pensare troppo alla paura passata nutre le nuove paure....stavo diventando saggio. E poi il vicino teneva poco ai suoi

coinquilini a quattro zampe. Quattro reti di materasso, un paio di tavole incrociate, una rete da un metro e mezzo legata col fil di ferro. "3 minuti di paura e siete fuori" mi scappò di dirglielo a quello più vicino dei tre. Mi guardò drizzando le orecchie e scodinzolando come pochi. Gli altri due, un altro maschio ed una femmina erano sdraiati poco più in la, all'ombra.

 

Non sapevano cosa fosse la libertà, non sapevano giocare all'aperto, potevano forse sognarlo o addirittura neanche quello. Come si fa a sognare di qualcosa che non sai?

Dovevo liberarli o lasciarli li? Ci pensai per tutto il giorno, di notte sognai poco e male.

 

"Caldo boia. Alle nove. Chiedo il turno di notte. Ah, non c'è." Lucio insisteva ad attaccar bottone, io volevo solo finire presto per fare una doccia e correre in paese a prendere il necessario per portare i cani del vicino via di li. Era una situazione insostenibile, chiamare qualcuno poteva significare solo canile. E non se lo meritavano. Non se lo meritano mai. Nessuno di loro. Avevo deciso svegliandomi di colpo. Sogno o no, volevo quei cani fuori di li.

Cosa avrei fatto in seguito lo potevo pensare solo con la testa. Per agire usavo il cuore, e quindi visto che ero in azione non me ne preoccupai minimamente.

 

Ci arrivai a pelo all'autobus, scesi in paese e mi ricordai di non sapere dove andare. Mi guardai intorno in cerca di insegne ma il sole era veramente noioso in tutti i sensi. Chiedere, ma a chi?

"ferramenta....mesticheria....spaccio....cus'l'è che vuoi?" "d'là".

Il vecchino sembrava quello della birra Peroni ma diverso. Non saprei descriverlo. Manco ci penso a dire il vero, il punto è che mi fece trovare l'utensilferramenta più fornita degli Appennini ToscoEmiliani ed affini. Tre quarti d'ora per comprare una tenaglia, del fil di ferro, un cartoncino colorato, un pennarello e tre guinzagli coi collari. Pagato a tempo immagino, mi costò quasi tutti i soldi che avevo (pochi a dire il vero).

Ma tornai indietro felice e deciso quanto mai. A cena fui particolarmente gentile, quasi a cercare di far capire loro che non mi avrebbero rivisto. Salutai molto calorosamente Lucio (non quanto volesse lui forse ma vabbè..), piantai per l'ultima volta gli occhi sulla scollatura della cugina e salutai la coppia di genitori, esaltati dal vino per la solita sbronza serale.

 

Zaino pronto. Biglietto di ringraziamento lasciato. Porta chiusa. Non si torna indietro. "Non tornerò mai a prima mai, non tornerò mai dov'ero già". La cantai a bassa voce mentre mi avvicinavo ai cani per non farli spaventare con conseguente casino di ogni sorta. Si comportarono come fosse una parola d'ordine. Silenziosi, immobili, erano come ombre. Animali, come me. "Vieni....". Testa bassa, gesto di sottomissione, scodinzolava. Lei fu la prima ad uscire. Non le misi neanche il guinzaglio...era fuori per venire via con me, lei aveva deciso. E così anche gli altri.

Richiusi il varco e gettai il cartello con su scritto "Torniamo liberi, provaci anche tu! I cani." nel giardino e ce ne andammo a piedi.

In silenzio.

Quattro cani per strada.

 

cap.-18.jpg


Contatti

Skrondo