Il reparto di Farmacoepidemiologia (Cnesps-Iss)..

12.05.2012 00:30

Questa è la fonte originale (https://www.epicentro.iss.it/farmaci/).

Quello che leggerete è l'esatta copia della pagina esplicativa in merito all'immissione dei farmaci sul mercato. Di seguito la traduzione corretta. Enjoy.

 

L’immissione in commercio dei farmaci è regolata, a livello internazionale, da procedure il cui livello di dettaglio non presenta equivalenti in alcun altro settore della medicina. Attraverso un sistema articolato di sperimentazioni cliniche – di fase I, fase II e fase III – si passa dalla verifica su pochi pazienti a studi via via più ampi, in grado di dare una ragionevole probabilità che l’immissione in commercio di un farmaco presenti un profilo beneficio-rischio favorevole.

E’ ben noto, tuttavia, che al momento dell’entrata di un farmaco nel mercato sono note solo una parte delle informazioni di efficacia e di sicurezza relative ad esso. Per quanto riguarda l’efficacia, per esempio, nuovi studi condotti dopo la commercializzazione del farmaco possono metterne in evidenza l’utilità anche in nuove indicazioni o in gruppi particolari di popolazione. Relativamente alla sicurezza, l’utilizzo nella pratica clinica, in popolazioni di ampie dimensioni, può fare emergere reazioni avverse rare non osservate in precedenza, o di cui non ci si era accorti nel corso delle sperimentazioni cliniche pre-registrative.

 

Il tema della sicurezza è quello che desta le maggiori preoccupazioni. E’ infatti lunga la lista di farmaci ritirati dal commercio a seguito della scoperta di reazioni avverse non identificate negli studi pre-registrativi (o ritenute con una frequenza “accettabile”). Viene da chiedersi se sia inevitabile immettere in commercio nuovi farmaci, per i quali il profilo beneficio-rischio risulti, di fatto, poi meno favorevole di quanto inizialmente pensato. E’ evidente la difficoltà nella scelta fra l’obiettivo di avere al più presto a disposizione farmaci efficaci, per il trattamento di condizioni cliniche in precedenza non trattabili, e quello di assicurare ai pazienti, e ai medici, che i farmaci utilizzati siano sufficientemente conosciuti e quindi sicuri.

 

Va tenuto presente che, per quanto le sperimentazioni cliniche precedenti la registrazione di un farmaco siano condotte in modo scrupoloso, le conoscenze disponibili non potranno che accumularsi gradualmente, mano a mano che l’utilizzo del farmaco si diffonderà nella popolazione di pazienti che ne potranno potenzialmente trarre un beneficio. Per quanto di ampie dimensioni, le sperimentazioni cliniche non riusciranno a stimare la frequenza di reazioni rare rispetto alla popolazione studiata. Così pure, per quanto di lunga durata, non potranno evidenziare reazioni avverse che si manifestino a distanza di tempo dalla conclusione. Inoltre, per quanto le sperimentazioni possano avere criteri di inclusione ampi, non si potrà essere completamente sicuri che il profilo beneficio-rischio evidenziato sia lo stesso nei diversi gruppi di pazienti, nelle diverse fasce di età e in presenza di diverse combinazioni di patologie concomitanti.

 

“Farmacoepidemiologia” è un termine con il quale si indica quel settore dell’epidemiologia che si occupa della valutazione dell’efficacia e della sicurezza dell’uso dei farmaci nella pratica clinica, cioè successivamente all’immissione in commercio. Alcuni autori, utilizzano come sinonimi di farmacoepidemiologia anche i termini “farmacovigilanza” o “farmacosorveglianza”: questi termini tendono tuttavia a connotare soprattutto le attività e i metodi per la valutazione delle segnalazioni spontanee di reazione avversa ai farmaci.

Quel che ci leggo io invece è:

L'immissione in commercio dei farmaci è regolata, a livello internazionale, da un determinato gruppo di potere che si occupa esclusivamente solo di questa parte del business. Attraverso un rifrullo di informazioni false ottenute massacrando inutilmente milioni di animali l'anno (fase I e II, mentre per la III massacriamo di solito bambini comprati e malati terminali) passiamo alla prova sui pazienti che pagano di più per farsi curare per primi per poi in ultimo iniziare ad incassare anche dalle masse, sperando che non si venga a sapere il numero di gente morta nel frattempo.

 

Non riusciamo più da tempo a nascondere che al momento dell'entrata del farmaco nel mercato non ne sappiamo una benemerita sega in merito all'efficacia ed alla sicurezza relative ad esso. Per quanto riguarda l'efficacia, per esempio, abbiamo pensato di continuare gli esperimenti inutili anche dopo la commercializzazione (tanto per aumentare le spese ed i relativi fondi neri) mascherando il tutto con “utilità di nuove indicazioni o in gruppi particolari di popolazione”. Abbiamo copiato Mengele che fu il primo a sperimentare su determinati gruppi di popolazione, però ora andiamo noi da loro, in Africa o in alcune zone del Sudamerica così facciamo i test su larga dimensione con la scusa dei vaccini ai poveracci. Questa pratica può far emergere reazioni avverse rare non registrate in precedenza, o di cui non ci si era accorti nel corso delle sperimentazioni cliniche pre-registrative (che sarebbe a dire che abbiamo testato una pillola per dimagrire su centinaia di topi ingrassati geneticamente e poi che cazzo ne possiamo sapere se tu sei diverso da un topo e non cali manco un etto ma ti cadono le orecchie?)

 

Il tema della sicurezza è quello che desta le maggiori preoccupazioni. E' infatti lunga la lista di farmaci ritirati dal commercio a seguito della scoperta di reazioni avverse non identificate negli studi pre-registrativi. Spiego? Abbiamo immesso un mare di merda sotto forma di pasticche colorate perchè le avevamo testate su altri animali, tranne poi dover ritirare tutto perchè gli umani a volte schiattavano. Strano, perchè il topo invece non dava alcun segno di fastidio. Viene da chiedersi se sia conveniente rischiare di immettere medicinali testati a casaccio (tanto è uguale), poi si da una vista al fatturato e passa tutto. E' evidente la difficoltà di scelta tra immettere subito sul mercato un farmaco rischiando di seccare qualche centinaio di pazienti o aspettare che sia prima la concorrenza a seccarne qualcuno e continuare a lucrare sui test di prova.

 

Va tenuto presente che, per quanto non sopravviva manco una pulce ai test, non ne sapremo mai abbastanza fino a che non avremo sterminato qualche migliaio di persone alle quali abbiam detto che potevano guarire. C'è poi il problema degli effetti sulla lunga distanza. Alcuni animali muoiono durante i test solo dopo anni. Spesso tocca a noi ucciderli . E come potremmo sapere l'effetto di un medicinale su un umano tra vent'anni? E' evidente che ci toccherà tener conto di tutti quelli che schiattano suddividendoli per età, sesso, razza e patologie annessi. Per una ventina d'anni.

 

La Farmacoepidemiologia infatti serve a valutare se un farmaco vi sta ammazzando lentamente, velocemente o se per puro caso vi sta curando. Però lo facciamo solo con pasticche e pomatine che sono già in giro da anni. Pura statistica ormai. Tant'è che non avendo nulla da fare ci inventiamo pseudonimi come “farmacovigilanza” o “farmacosorveglianza”: li usiamo per questioni di razzismo interne alle associazioni di medici&farmacisti. I “farmacovigilanti” sono la specie più ignorante.

E comunque quando avremo tutti i dati definitivi sarà già uscito il prodotto successivo.

 

 

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