El Mèdano, 01-04-2012

01.04.2012 00:00

 

E' buffo come al tempo stesso mi capiti di sentirmi straniero e a casa. Sono a casa perchè so che il mondo intero è mio in quanto di tutti e sono straniero per ragioni linguistiche e legali. Escludendo le questioni politiche relative alla mia idea di confine (che considero la cazzata più letale mai inventata dall'uomo) rivaluto l'esperanto. Sarebbe bello per tutti gli abitanti del pianeta condividere un'unica lingua, scambiarsi ogni tipo di idea senza la fatica di dover tradurre.. senza i rischi legati a piccoli sbagli che a volte possono diventare causa di tragedie immani. Oggi ad esempio ho chiesto “dos papas fritas” intendendo all'italiana “dammi due patatine fritte”. Bon, m'è toccato mangiarne due porzioni e ciò è da considerarsi catastrofe pura. Il perchè lo spiegheranno meglio gli “aseos “che mi ospiteranno domattina.

Domattina lascio El Mèdano e torno a Los Cristianos. Mentre aspetto che un caro vecchio amico si faccia vivo trascorrerò la giornata leggendo annunci alla ricerca di un monolocale a prezzo modico e cercando un corso di spagnolo, di quelli che l'ayuntamento organizza per gli stranieri (per l'appunto!). Spero anche che le finanze migliorino, sono 81 giorni che aspetto il sussidio di disoccupazione. L'acqua è poca e la papera non galleggia. Magari cercherò anche un lavoretto in cambio di cibo ed un po' di spiccioli. Magari in riva al mare.

Credo che non riuscirò più a staccarmene. Parlo dell'oceano. Della potenza delle onde, dello sguardo che si spinge in là, tanto che gli occhi fanno male a volte.

Troppo tempo lontano dal mare me ne sono stato, attirato da tutta un'altra serie di cose che credevo importanti. E troppo tempo al freddo, che le ossa ora al mattino mi salutano con la ola anche se dormo in sacco a pelo sui sassi. E troppo tempo me ne son stato lì, rinchiuso in case a sfogliare inverni come calendari alla ricerca di un'estate qualunque.

Francone Battiato dopo pranzo se ne andava a riposare, cullato dalle zanzariere e dai rumori di cucina. Mal d'Africa. Concetto già enunciato ma vale la pena di ricordarlo: qui siamo in Africa signori, anche se l'euro impazza con tanto di faccia di Juan Carlos in primo piano e c'è anche il Decathlon/Ikea/LeroyMerlin. E' Africa e la senti sul groppone alle due del pomeriggio quando vorresti fare qualcosa ma la vocina interna ti spinge a farti un frinzello ed aspettare le cinco de la tarde. E così fai perchè è Africa.

Ripenso alla questione linguistica e in fondo sono anche fortunato. Volessi girare ancora un po' di mondo con lo spagnolo avrei mezza sudamerica a portata di bocca (già tremano al pensiero poverini!) e con quel po' di inglese maccheronico del mio prof. anche di più. Un bello scopo nella vita, anche se di solito tutti pensano a viaggi organizzati in villaggi turistici e poco più. Conosco gente che ha passato una settimana ad Agadir senza uscire e mangiando solo frutta. Io non sono così, piuttosto in un posto non ci vado. Ma andarci senza andarci è assurdo.

Provo ad immaginare un villaggio qui. E io dentro. Senza andare a parlare con la gente del posto, bere la loro birra e mangiare papas arrugadas a quintali, senza inchinarmi ogni volta alla Montana Roja come fosse la Madonna. No, non avrebbe senso.

El Mèdano è fatta di gente semplice, amichevole. E' fatta di cemento piazzato male in panorami mozzafiato, è fatta di vento e di nuvole velocissime. Giusto il tempo di darti un brivido di freddo mentre stai scoppiando sotto al sole e poi paf. Se ne vanno via verso Capo Verde a dissolversi magari come pioggia in mare.

El Mèdano è pure grandicella, c'è quasi tutto. Ma non c'è molto di superfluo. Non serve molto quando hai un tavolino, una birra, la spiaggia davanti ed il vicino di tavolo che è olandese e ti fa i complimenti per la maglietta con la bavina da alcool a bordo labbra. Non ti serve la tv. Basta fare due passi e fermarsi a parlare con uno dei venditori ambulanti per scoprire che esistono zone in cui la “vedova negra” non ti attacca se cammini all'indietro. E altri due per sentire racconti di villaggi findiani, e figli nati in nazioni diverse ma fratelli comunque. E ancora altri due per ascoltare solo l'oceano, che di storie ne racconta pure lui.

Ieri per esempio il mare m'ha portato un pezzo di legno di una cassetta da frutta sudamericana ed il resto del tempo in spiaggia è stato il film del viaggio di quel legno da quando era albero. Certo, il thc autoctono c'ha messo del suo in quella occasione ma senza quella meraviglia di posto davanti agli occhi forse non verrebbe così facile perdersi nei pensieri. Sicuramente non mi verrebbe da fare ragionamenti simili seduto in metropolitana in una qualunque città di un qualunque paese.

E invece qui ci si riesce senza sforzo. I pensieri si fermano solo davanti ai pensieri altrui, ai racconti di altri che ti trovi all'improvviso per caso. Senza chiederli.

E prendi tutto come un film. Racconti di viaggi, disavventure sentimentali finite in catastrofe, figli e mogli sparsi per il globo, avocados giganteschi, legislazioni assurde di posti lontani, ricette curde.

Patrick ad esempio è romagnolo, disoccupato, divorziato, scoppiato. Iniziamo a parlare di connessioni a scrocco e finiamo col trovarci al “solito bar” per giorni interi a bere canje ghiacciate parlando in tre lingue diverse e tutte maccheroniche a seconda degli ospiti di passaggio di quello che è “il tavolino”. Rosanna è pugliese, ha 50 anni, tre figli nati in nazioni diverse, vive in Francia ma passa i mesi invernali al caldo vendendo chincaglierie in mercatini improvvisati sulla spiaggia.

L'anno scorso è stata nell'India del sud e ora passa per Tenerife con destinazione La Gomera dove fanno un maxiraduno internazionale di freaks. E poi da lì andranno tutti a Las Palmas, a fare cosa non so. E non importa. Quel che mi interessa è la sensazione di movimento, di migrazione, di esodo, quell'idea della Terra abitata da formiche un po' più grandi che rispondono al nome di uomini. Un turbinio di teste, idee, azioni e reazioni. Quel che mi da il vero senso di vita.

Poi c'è Vale, padovano sdentato, gran coltivatore di marja e bevitore di carre a ritmo industriale.

Lavora part time in nero nel bar ottenendo in cambio vitto e alloggio, due ore al giorno al mattino e hai pappa e letto tutti tuoi, oltre al tempo rimanente di lunghe giornate di sole. Il che non ha prezzo effettivamente. Lui rientrerà in Italia a breve per fare la stagione a Livigno e poi volarsene in inverno in sudamerica, destinazione Brasile. Bel rimbalzo Livigno-Bahia.

Credo sia la voglia di conoscere il mondo che qualcuno si trova dentro. Quella sorta di insoddisfazione per l'esistente mista alla consapevolezza che c'è molto altro da vedere e sicuramente straordinariamente differente da quel che conosci. A volte il tutto va mitigato facendo piccoli passi, rimanendo in nazioni limitrofe o almeno con abitudini simili. In altri casi o per altre persone il salto va fatto per benino. E ti trovi davanti un ragioniere di Arezzo che vive da 22 anni a Saigon. Che l'ha vista prendere il nome di Ho Chi Min. E che per la prima volta in tutto questo tempo ritorna in occidente, spaesato come un vietnamita originale. Tutto quel tempo lontano dalle sue radici l'ha modificato al punto tale da non riconoscerle neanche.

Spero che non mi accada. Voglio che il paese che mi ha cresciuto rimanga fermo nei ricordi ai tempi migliori, un po' come quando si sceglie la foto per la lapide del caro defunto. E così sarà.

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